LaVey e il satanismo

Pubblicato il 29 agosto 2025 alle ore 19:01

Anton Szandor LaVey è una delle figure più enigmatiche e controverse del Novecento, un uomo che ha incarnato il ruolo del profeta moderno per chi cercava un’alternativa radicale ai dogmi religiosi dominanti. Fondatore della Chiesa di Satana nel 1966, ha costruito un sistema che unisce teatralità, filosofia, provocazione e disciplina interiore. Il suo satanismo non si fonda sull’adorazione di un’entità esterna, bensì sull’esaltazione dell’individuo come forza sovrana, centro del proprio universo e creatore della propria realtà.

Per LaVey, Satana non è il principe delle tenebre temuto dalle religioni abramitiche, ma il simbolo dell’istinto, del desiderio, della carne che pulsa contro il dominio della colpa. È l’archetipo della ribellione contro il conformismo, la maschera sotto la quale si cela il volto autentico della libertà. Attraverso rituali carichi di simbolismo, LaVey ha dato forma a una liturgia che trasforma l’atto magico in un dramma psicologico, un teatro sacro in cui l’adepto può esprimere le proprie pulsioni represse e dirigerle come energia creativa.

Il satanismo laveyano si fonda su un principio essenziale: l’uomo come animale tra gli animali, ma dotato della capacità di celebrare la propria natura senza negarla. In opposizione all’ascetismo e al sacrificio, egli propone il godimento consapevole, la giustizia dell’ego e l’accettazione della carne come via di conoscenza. Il peccato, nella sua visione, è un costrutto di potere inventato per soggiogare l’individuo; ciò che viene chiamato vizio diventa invece strumento di potenziamento, se esercitato con lucidità e controllo.

Il satanista, nel senso più profondo che LaVey intende, non è un servo di forze oscure ma un alchimista della volontà, un viandante che utilizza simboli arcaici per risvegliare la parte più autentica del sé. La magia, in questo contesto, non è superstizione bensì psicodramma, tecnica di trasformazione interiore e mezzo per piegare la realtà alla volontà personale. È un percorso che non offre redenzione né consolazione ultraterrena, ma che si radica nell’adesso, nel sangue e nel respiro, nel desiderio di vivere senza maschere.

Così, LaVey ha lasciato in eredità una filosofia che è al tempo stesso maschera e specchio: maschera per spaventare le coscienze timorate, specchio per coloro che hanno il coraggio di guardarsi davvero. Il suo satanismo resta una via della carne e dell’ombra, una ribellione che si veste di simboli proibiti per ricordare all’uomo che non vi è nulla di più sacro della propria individualità.

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