
I racconti di Belzebù a suo nipote è l’opera monumentale e più enigmatica scritta da Georges Ivanovič Gurdjieff. Pubblicato nel 1950, poco dopo la sua morte, è un libro immenso, quasi mille pagine, che lui stesso considerava il cuore del proprio insegnamento. Non è un manuale, né un saggio sistematico: è una narrazione allegorica, complessa, spesso paradossale, in cui il linguaggio volutamente ostico diventa parte integrante dell’esperienza che il lettore deve compiere.
Il protagonista è Belzebù, figura che Gurdjieff rielabora liberandola dall’immaginario demonologico cristiano. Non è il diavolo, ma un essere esiliato per errori passati e poi riconciliato con l’ordine cosmico. Egli racconta al nipote Hassein le sue esperienze di viaggio attraverso l’universo e, soprattutto, attraverso la storia dell’umanità terrestre. Attraverso queste memorie, Belzebù espone una critica radicale al modo in cui gli uomini vivono, mostrando la loro meccanicità, le loro illusioni e la tendenza a cadere in errori ripetuti.
Il tono dell’opera è ironico, a tratti satirico, eppure profondamente serio. Gurdjieff non si limita a esporre concetti, ma costruisce un linguaggio che disorienta, costringe a uno sforzo continuo di attenzione e interpretazione. L’opera è stata definita “scritta contro la meccanicità del lettore”: leggere i Racconti significa esercitare la concentrazione, resistere alla tentazione di scorrere velocemente, imparare a penetrare oltre le parole per coglierne il senso nascosto. In questo, il libro non è solo un veicolo di idee, ma un esercizio pratico di risveglio.
Attraverso le vicende narrate da Belzebù, Gurdjieff sviluppa la sua cosmologia: descrive universi, leggi cosmiche, esseri superiori e processi che regolano l’esistenza. Ma al centro rimane l’uomo, visto come creatura prigioniera del sonno e delle sue abitudini, incapace di vivere con coscienza. La storia dell’umanità viene riletta come una lunga sequenza di deviazioni e fraintendimenti, che hanno portato le religioni e le scienze a smarrire il contatto con la verità essenziale.
Tra le idee che emergono nei Racconti c’è la necessità di un lavoro consapevole, di un sacrificio volontario per costruire in sé stessi un’anima reale e immortale. Senza questo sforzo, l’uomo rimane una macchina destinata a dissolversi. La via che Gurdjieff indica non è moraleggiante, ma pratica: vivere con attenzione, ricordare sé stessi, nutrire i centri dell’essere in modo equilibrato.
Il libro, con il suo linguaggio denso e ricco di neologismi, non è destinato a una lettura superficiale. È stato progettato per scoraggiare i lettori curiosi e attrarre soltanto chi è disposto a impegnarsi seriamente. In questo senso, I racconti di Belzebù a suo nipote è allo stesso tempo una rivelazione e una prova: un testo che non concede scorciatoie, ma che può trasformare chi riesce a penetrarne la logica nascosta.
Ancora oggi l’opera rimane un punto di riferimento imprescindibile per chi si avvicina all’insegnamento di Gurdjieff. Non come semplice fonte di informazioni, ma come esperienza di lettura che richiede pazienza, resistenza e una disponibilità a lasciarsi trasformare. È un libro che non vuole essere compreso al primo colpo, ma che accompagna nel tempo, spingendo chi lo affronta a un confronto continuo con se stesso e con il mistero dell’esistenza.
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