In un villaggio dimenticato, avvolto da brume che non si alzavano mai, si raccontava di una reliquia che nessuno osava nominare ad alta voce: il Cuore di Onice. Era una pietra scura, pulsante come un organo vivo, che batteva al ritmo di un cuore umano.
Si diceva che fosse nato dal sacrificio di una sacerdotessa, arsa viva in un tempio sotterraneo. Le sue ossa si erano fuse con la roccia, e il suo cuore non aveva smesso di battere. Ogni secolo, qualcuno lo trovava. Ogni volta, il mondo perdeva un poco di luce.
Un mago di nome Aristen lo cercò, guidato da sogni in cui voci lo chiamavano per nome. Discese in cripte ricoperte di muffa e cera sciolta, superò porte sbarrate da catene arrugginite e simboli incisi col sangue. Quando raggiunse l’altare, lo vide: un blocco di pietra nera, che respirava.
Aristen lo prese tra le mani, e subito udì mille sussurri dentro la mente. Promesse di potere, visioni di corone insanguinate, città che si inginocchiavano davanti a lui. Ma ogni visione aveva un prezzo: un volto amato che si spegneva, una memoria cancellata, una ferita che non si rimarginava.
Egli accettò.
Il villaggio non udì più la sua voce, ma di notte vide una nuova fiamma nera accendersi nella torre più alta. Chi osava avvicinarsi scorgeva figure senza volto inginocchiate attorno a quella luce, come servi evocati dal nulla.
Il Cuore di Onice aveva scelto un nuovo custode. E da allora, il villaggio visse nel silenzio eterno, perché ogni parola pronunciata si trasformava in cenere prima di lasciare la bocca.
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